VEGLIE A PORCIGNANO di Reginaldo Cianferoni

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Prefazione


Un contadino racconta a veglia. Credo che almeno un lettore sia curioso di sapere come sono nati i racconti, chi è il protagonista, come e perché sono stati scelti i contenuti e le forme. Cercherò di rispondere a queste domande.
E' ben nota la capacità di molti contadini - specialmente toscani- di raccontare in maniera arguta ed efficace; purtroppo, trattandosi soltanto di racconti orali, poco o nulla rimane di essi con il passare del tempo e poiché il mondo contadino è in via di scomparsa ciò significa perdere anche la sua memoria, o almeno quella in filo diretto. Vi è stato infatti, negli ultimi anni, un grande fiorire di libri sulla vita in campagna del passato ma si è trattato di libri scritti da intellettuali in genere appartenenti al mondo dei grandi proprietari terrieri. Non mancano, è vero, nella letteratura italiana contemporanea belle pagine dedicate ai contadini (e qui penso, ad esempio, ai boscaioli del "Taglio del bosco" di Carlo Cassola) ma, fatte non molte eccezioni, la vita dei contadini è vista, anche dagli intellettuali più vicini al loro mondo, con lenti deformate, così come ho avuto occasione di dimostrare in altro mio scritto. Numerosi sono anche gli studi sulla cultura contadina e le ricerche di storia orale, nelle quali anch'io mi sono impegnato, ma anche quando si tratta di opere di alto livello scientifico, in esse traspare la freddezza professionale dell'antropologo o dello storico e mancano le pulsazioni della vita quotidiana che si ritrovano in alcune opere letterarie e nei racconti dei contadini.
E' partendo da queste considerazioni che, da tempo, mi sono domandato: perché non invitare i contadini più "dotati" a scrivere le loro memorie? E questo invito l'ho rivolto al mio amico Marcello Vanni, contadino chiantigiano, del quale conosco l'inesauribile vena narrativa, tanto da ricercare spesso (e non sono il solo) la sua compagnia.
Marcello infatti è entrato in contatto con una vivace cerchia di artisti, non solo italiani, che fanno capo al salotto (anzi alla casa di campagna) di Leo Lionni e Nora Maffi; la sua figura fa già parte del mondo letterario grazie al fantastico ruolo che Linoni gli ha assegnato in un suo libro sulla botanica parallela.
Malgrado tutto ciò Marcello ha inizialmente manifestato molte perplessità. Poi ha chiesto qualche libro per ispirarsi. Gli ho consigliato quello di Bino Sanminiatelli, "Vita in campagna", e quello di Nicchia Furian Raffo, "Diario nel Chianti", non solo perché hanno per sfondo lo stesso ambiente in cui il Vanni è vissuto e vive tuttora, ma anche perché essi bene esprimono mondi contrapposti a quello contadino: Bino Sanminiatelli il mondo di un letterato nobile proprietario terriero che credo di definire l'ultimo dei moderati toscani; Nicchia Furian il mondo fantastico di una bambina di "signorotti di campagna". Di questi due libri nelle veglie si ritroveranno alcune annotazioni e qualche richiamo perché le tematiche, l'ambiente e talvolta anche le persone sono le medesime; ma i mondi sono, come ho già detto, contrapposti.
La nascita e la prima crescita del nostro libro è stata assai faticosa. Marcello dopo aver riflettuto a lungo, non ha accettato la mia proposta di scrivere le sue memorie. Perché? Bino Sanminiatelli, nel già citato libro, ha scritto - riferendosi alle parole di un racconto orale di un ragazzo contadino - "vorrei saperle dire allo stesso modo senza infiorettarle alla maniera stupida degli scrittori". In realtà il non facile mestiere dello scrittore richiede doti naturali, ma anche tecniche che non si improvvisano, per cui non è detto che chi sa raccontare bene sappia anche scrivere altrettanto bene. E questo spiega perché grandi narratori orali si smarriscono non appena prendono in mano la penna e spiega altresì l'assenza di scritti da parte contadina.
Per superare queste difficoltà - che con qualche approssimazione si possono definire di carattere tecnico - abbiamo pensato, per conservare la spontaneità dei racconti, di effettuare la registrazione nelle condizioni in cui Marcello riesce a dare il meglio di sé : le veglie e le riunioni conviviali, per procedere poi alla loro versione scritta.
Cosa siano state in passato le veglie e quale sia stato il loro ruolo nella vita delle comunità contadine è spiegato molto bene direttamente e indirettamente nei racconti, ove emergono chiaramente anche le ragioni della loro decadenza e scomparsa; è quindi necessario soffermarsi qui su questo argomento, ma è opportuno rilevare che l'uso del registratore in queste veglie ha fatto miracoli, consentendo di fissare tutta la vivacità e la capacità di comunicare con gli ascoltatori, propria delle narrazioni: mancano soltanto i gesti e le espressioni del viso che esprimono sentimenti e talvolta sostituiscono intere frasi.
Avevo già avuto occasione di usare il registratore nelle ricerche di storia orale, ma in tal caso ciò che interessava erano le testimonianze, la loro comparazione ed il controllo della loro attendibilità, per cui nessuna attenzione avevo riservata agli altri aspetti.
La successiva trascrizione, a me affidata, non è stata priva di difficoltà, per la necessità di migliorare la chiarezza della forma, riordinare e collegare l'esposizione, eliminare le ripetizioni. Ho fatto ogni sforzo per essere assolutamente fedele ai contenuti dei racconti e spero di avere assolto questo compito, almeno per tre ragioni: l'avere Marcello Vanni rivisto, corretto, integrato la prima stesura, che è stata anche cortesemente rivista da altri due attivi partecipanti alle Veglie, Marco Fattori e Marcella Sordi; l'avere rinunciato sempre alla tentazione di introdurre di soppiatto la mia personale visione delle cose; l'avere, per le mie origini e per le mie esperienze, una diretta conoscenza del mondo contadino.
Debbo invece confessare che avrei voluto fare di più e meglio per mantenere il calore ed il colore dei testi orali e che non sempre mi sembra di essere riuscito, com'era nei miei propositi, ad usare parole ed espressioni semplici ed immediate.
Per quanto riguarda la forma non ho avuto incertezze a conservare l'originale impianto a dialogo delle veglie orali che, a mio giudizio, è perfettamente connaturale, anche nella versione scritta, ai contenuti delle narrazioni. Ci sono le interruzioni, le domande, le integrazioni dei partecipanti alle veglie, talvolta abbastanza consistenti, tanto che se Marcello Vanni ha sempre il ruolo centrale esso appare bene appoggiato dalle "spalle", cos' come avveniva - forse in misura ancora maggiore - nelle veglie del passato (1).
I personaggi contadini di Marcello non sono sottoposti ad approfondita introspezione, ma hanno individualità ben marcate e questo non tanto per l'abilità del narratore quanto perché così erano i contadini, malgrado l'uniformità dei comportamenti collettivi. Forse era la grande varietà fisica della campagna, delle colline, delle piante e degli animali a modellare la varietà dei tipi umani, che certo allora non subivano l'effetto livellatore dei mass media.
Accanto ai numerosi personaggi contadini si ritrovano poi personaggi di alta estrazione sociale e fra essi spiccano per numero e per carattere i preti. Questa ultima massiccia presenza dipende dal fatto che Marcello si è incontrato, direi ha familiarizzato, con molti preti nella sua qualità di mezzadro di vari benefici parrocchiali chiantigiani e di "sacrestano", ma dipende anche dalla capillare presenza che in passato i preti avevano nelle campagne; gli episodi della vita quotidiana di questi personaggi bene spiegano le relazioni contadini-preti-religione, che hanno avuto un ruolo tanto importante nelle vicende sociali e politiche delle campagne toscane.
I racconti spaziano in un arco di tempo poco più lungo di mezzo secolo; benché non siano stati rigidamente ordinati nel loro svolgimento temporale, la loro successione è tale da fornire un quadro sistematico dei profondi mutamenti che sono avvenuti in questo pur breve spazio. Una delle qualità del nostro narratore è quella di ricordare con grande precisione il clima e le condizioni delle diverse fasi di questi mutamenti della vita quotidiana, che però hanno per sfondo i grandi avvenimenti storici. E' la storia dei contadini, e non soltanto dei contadini del Chianti. Il Chianti infatti non è stato la culla del movimento contadino, anzi prima della guerra e anche durante la Resistenza, era una delle zone più arretrate del senese e dell'intera Toscana. Tuttavia, anche se le storie raccontate da Marcello non possono considerarsi rappresentative, esse consentono di capire meglio i contadini (e in particolare i mezzadri) e ripercorrere il loro lungo cammino.
Naturalmente il personaggio centrale della narrazione è lui, Marcello Vanni, ma è immerso anima e corpo nella famiglia e nella comunità contadina e intorno a lui vi è una folla di personaggi l'uno diverso dall'altro. E anche questo, torno a ripeterlo, rispecchia fedelmente la realtà del mondo contadino mezzadrie, così omogeneo nelle espressioni comunitarie e, di contro, tanto differenziato nei caratteri delle singole persone, uomini e donne.
Nei racconti di Marcello trovano largo spazio episodi piccanti, qualche volta descritti con espressioni un po' crude. Anche questo rientra nella più pura tradizione delle veglie nelle quali vi era concorrenza talvolta, fra i vari narratori, a raccontarle grosse. E per questi episodi forse vi era, a differenza che per altre tematiche, una forzatura della realtà, se non l'invenzione vera e propria.
In un primo momento io e Marcello avevamo deciso di censurare in parte quei racconti piccanti, anche se avevano in passato un posto e uno spazio molto più importanti di quello che hanno qui, dove i racconti riguardano tutti gli aspetti della vita contadina (molti di questi aspetti nelle vecchie veglie non costituivano oggetto di conversazione, tanto erano - a differenza di oggi - ovvi e risaputi). La nostra preoccupazione partiva dalla constatazione che quei racconti erano sì comuni, ma erano riservati a una ristretta cerchia di conoscenti e, per una specie di pudore, venivano interrotti se capitava alla veglia qualche persona estranea, di ceto diverso e soprattutto in presenza di qualche bambino. Se il narratore, preso dalla foga del suo discorso, non si accorgeva di tale presenza c'era sempre qualcuno che avvertiva con la curiosa espressione: "c'è il tetto basso", che significava appunto "ci sono i bambini".
La versione scritta delle veglie, almeno nelle nostre intenzioni, non è riservata ad una ristretta cerchia di conoscenti e questo ci ha messo in imbarazzo. Poi ci siamo detti: il mondo è cambiato, e soprattutto ci siamo convinti che una tale autocensura avrebbe comportato una specie di castrazione della vita contadina, anche se, come ho detto, il lettore dovrà tenere presente che questo genere è sempre stato oggetto nelle veglie di fantasie, di spacconate e di pettegolezzi. E ciò, a mio giudizio, in netto contrasto con i racconti relativi agli altri aspetti della vita nei quali la sincerità è assoluta ed il proprio comportamento e quello delle persone amate è descritto senza ricercare abbellimenti e senza reticenze.
L fedele rappresentazione del mondo contadino, della quale ho detto finora, non è solo la qualità dei racconti; in essi vengono espressi giudizi sugli uomini e sulle loro azioni che solo in parte seguono la filosofia contadina poiché appare prevalente la personale visione che Marcello ha delle cose e delle vicende del mondo.
Ho avuto occasione di scrivere, con riferimenti ai libri di Bino Sanminiatelli e di Nicchi Furian (ma la cosa può essere estesa a molti altri libri di memorie) che il tratto comune è la nostalgia dei signori verso la vita in campagna così come essa era fino alla seconda guerra mondiale o, al più, fino agli anni Cinquanta, prima cioè delle profonde trasformazioni dell'economia e della società italiana: una nostalgia che diventa poesia e che può essere capita e compresa anche da chi - come me - ha vissuto esperienze del tutto diverse. Ma io pensavo che questa nostalgia fosse tipica dei proprietari perché la vita del signore era allora, in relazione ai tempi, a livelli molto più elevati di oggi. E pensavo e sapevo che i contadini, e i mezzadri in particolare, non avevano nostalgia delle durissime condizioni del loro passato, delle condizioni di classe subalterna. Eppure anche in Marcello vi è, a mio giudizio, una forma di nostalgia del passato, anche se questa ha caratteri opposti a quella dei signori. Non vi può essere certo nostalgia per le dure condizioni di vita del lavoro contadino, per la miseria contadina, così come era stata descritta ad esempio dal Georgofilo Leonida Landucci; eppure quella miseria contadina vista dal di dentro, pur rimanendo motivo di protesta e di ribellione perché frutto di ingiustizia sociale, perde un po' delle sue drammatiche tinte e soprattutto non impedisce una grande capacità di vivere e di gustare i lati belli della vita, malgrado i numerosi limiti; è una capacità che non si ritrova nell'attuale società opulenta, nonostante essa sis sia liberata di tanti tabù. E' una società, quella di Marcello, agli antipodi di una visione idilliaca della vita bucolica, è una società per certi aspetti selvaggia; eppure i divertimenti, nella loro semplicità, davano piena soddisfazione; la vita in famiglia e nella comunità, anche se con contrasti e conflitti non lievi, era fonte di grandi gioie che, direi, prevalevano in quantità e qualità sui dolori, che pure erano forti e lunghi.
La rievocazione di questi aspetti (e solo di essi) non può dunque che assumere il sapore della nostalgia e, soprattutto, non può che rendere incomprensibili alcuni aspetti della vita di oggi; incomprensibile è, per Marcello, il fatto che il miglioramento delle condizioni economiche si accompagni allo scadimento della qualità della vita. Ma la causa di tale scadimento mi sembra almeno intuita nelle ricorrenti comparazioni fra la vita di un tempo e quella di oggi. E ritengo di non forzare troppo il pensiero del narratore affermando che egli individua nello scadimento dei valori collettivi, o meglio della coscienza collettiva, le difficoltà e le inquietudini della vita individuale.
Ai racconti di Marcello Vanni sono stati aggiunti, divisi in due capitoli, i "complementi" che, analogamente a quanto ho detto per le veglie, credo opportuno spiegare come e perché sono nati.
I racconti partono si può dire dall'anno di nascita di Marcello (1926) e in essi appare sbiadita la vita contadina degli anni precedenti;: c'è la vita della generazione precedente, ma è colta quando i vecchi vivevano insieme a lui giovane. Mi è nata allora la curiosità di conoscere di più e meglio quella vita ed ho preso il registratore e, come già avevo fatto per le mie ricerche di storia orale, sono andato a raccogliere testimonianze dai vecchi contadini, aiutato da Marcello, e da qui la ricerca si è concentrata sulla figura del grande chiantigiano Barone Bettino Ricasoli; di conseguenza è nato il capitolo a lui dedicato, che ha il taglio del saggio di storia orale. In questo caso ho conservato il vernacolo originale, senza operare alcuna traduzione e correzione poiché esso, a mio giudizio, ha una forza di suggestione e una poesia che sarebbe stato un peccato perdere. Tuttavia ho dovuto operare parecchi tagli, specialmente per evitare ripetizioni, e talvolta ho riordinato la sequenza delle espressioni; può essere quindi legittimo il dubbio di una sia pur inconsapevole ed involontaria correzione dei contenuti: il materiale originale è pertanto a disposizione di chi volesse consultarlo.
Si tratta, comunque, di un materiale profondamente diverso dai racconti di Macello poiché qui domina il regno dei fantasmi, o meglio il fantasma del Barone di Ferro. Anche nella narrazione di Marcello ci sono i fantasmi, ma visti con l'occhio di chi non crede a quelle storie e anzi vorrebbe liberare il mondo contadino dagli spettri. Invece nelle testimonianze dei più anziani i fantasmi hanno ancora un posto importante, tanto importante da conservare nei loro racconti un realismo non inferiore a quello di Marcello.
E' un realismo, questo dei vecchi contadini, che riguarda in ugual misura i fatti della vita quotidiana e il mondo delle streghe, dei fantasmi, dei fatti miracolosi, in una apparente contraddizione che può forse essere spiegata dalla convinzione con cui vivevano quel mondo fantastico: si parte di solito da un substrato inventato da altri, ma con spontanee aggiunte e rielaborazioni di non poco conto e momento. Quello che è chiaro è che intorno a tali fantasie (per esempio la dannazione di Bettino Ricasoli) vi sono profonde motivazioni sociali e vi è la soggezione verso i padroni.
Il capitolo 16, che tratta la decadenza economica e sociale dei nobili chiantigiani, è stato scritto da una giovane studiosa, Mariella Menci, partendo da un'angolazione assai diversa da quella precedente dove i grandi proprietari sono visti con gli occhi dei contadini. Qui invece l'analisi parte dalle testimonianze di personalità di rilievo della nobiltà chiantigiana. Questo però non significa che l'autrice abbia visto i fatti attraverso gli occhi dei grandi proprietari perché - oggi che la mezzadria è praticamente scomparsa - è più facile, come è capitato a me, stare dalla parte dei mezzadri. Ieri era esattamente il contrario. Certo si tratta di note che non esauriscono il problema, anzi la lettura di esse, almeno in me, ha suscitato il desiderio che qualcuno dei nostri letterati (e non sono pochi) che è stato direttamente o indirettamente coinvolto in questa decadenza, scrivi in proposito un'opera tragica, perché a me certe vicende familiari sembrano tali. Forse su questo c'è una specie di pudore perché ad esempio, come ho già osservato, i due libri più volte citati di Nicchia Furian e Bino Sanminiatelli si fermano al tempo in cui i nobili erano ancora al vertice del potere.
Un'ultima informazione, anche se può sembrare marginale,; per me, per Marcello e, ci sembra, per tutti coloro che abbiamo coinvolto nelle veglie, questa occasione è stata, in gran parte, motivo di allegria e di piacevoli e divertenti incontri. Ci auguriamo che le pagine di questo libro riescano a trasmettere ai lettori un po' di queste preziose cose e, insieme, qualche spunto per una riflessione sul passato ed il presente e soprattutto sulle questioni che investano il nostro futuro.
Desidero dedicare la parte lieta del mio lavoro alla memoria di mia madre, Ida Mugellini, nobile contadina toscana.
Marcello mi incarica di scrivere che egli dedica i suoi racconti a tutti i suoi "vecchi" e con questa espressione intende riferirsi a tutti coloro che erano anziani quando lui era giovane, anziani ai quali era legato da vincoli di parentela o che appartenevano alla comunità contadina nella quale ha vissuto e si è formato. A quanto ho capito in questa dedica vi è un'inconscia speranza che i giovani di oggi, ora che lui è nel novero degli anziani, riescano a capirlo, o meglio ancora ad amarlo, come egli ha fatto nei confronti dei "suoi vecchi", anche quando li ha strapazzati.
Questa è anche la mia speranza.
R.C.
(1) Hanno partecipato alle veglie le seguenti persone (delle quali ritengo utile fornire alcune notizie che, per chi lo desidera, possono aiutare a capire le motivazioni dei loro interventi, nei quali figurano soltanto con il nome) con continuità:
1- Annita Strambi, nata nel 1928, ex mezzadra, moglie di Marcello
2- Marcella Sordi, nata nel 1954, impiegata e studentessa universitaria, appartenente a famiglia di ex mezzadri.
3- Marco Fattori, nato nel 1943, studioso di economia e di storia dell'agricoltura.
4- Stefano Marietti, nato nel 1955, disegnatore progettista, genero di Marcello.
Saltuariamente o occasionalmente:
5- Fabio Fronti, nato nel 1950, perito agrario, appartenente a famiglia di ex mezzadri.
6- Gioconda Ermini, nata nel 1902, che è stata mezzadra e fattoressa.
7- Laura Cianferoni, nata nel 1953, dottoressa in scienze agrarie.
8- Lorena Fondelli, nata nel 1930, casalinga, appartenente a famiglia di ex mezzadri.
9- Lucia Vanni, nata nel 1957, figlia di Marcello, impiegata.
10- Luigi Biagi, nato nel 1920, che è stato mezzadro, sottofattore, impiegato e sindaco di Tavarnelle Val di Pesa

 

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